10 aprile

Leggiamo …

Si giudica interessante il brano tratto dall’opera “La lanterna di Diogene” di ALFREDO PANZINI …

Il libro è una specie di diario di un viaggio “avventuroso” che l’autore fa in bicicletta da Milano fino a Bellaria, vicino a Rimini. Panzini descrive situazioni, personaggi, ambienti poco noti quasi a voler far scoprire al lettore una immagine dell’Italia sconosciuta ma ricca di interesse. Egli ricorre ad una scrittura ironica che coglie aspetti poco usuali dell’esperienza quotidiana. In questo brano, che è l’inizio dell’opera si nota già il suo fine umorismo nel presentare il clima non particolarmente salubre della città di Milano.

L’undici di luglio, alle ore due del pomeriggio, io varcavo finalmente, dall’alto della mia vecchia bicicletta, il vecchio dazio milanese di Porta Romana. La meta del mio viaggio era lontana: una borgata di pescatori sull’Adriatico, dove io ero atteso in una casetta sul mare: questa borgata supponiamo che sia non lungi dall’antico pineto di Cervia e che per l’aere puro, abbia il nome di Bellaria. Ora, quel giorno della partenza, il cielo era senza nubi, e per far piacere alla città che mi ospita da tanti anni, dirò che era anche azzurro: certo ne pioveva un’afa così ardente e greve(1), che in ogni altra città d’Italia gli uomini si sarebbero addormentati; e anche le motrici e le macchine si sarebbero fermate. Vero è che a Milano non si sciopera per così poco. Per mio conto tuttavia avrei giurato che in quell’ora ventilavano i più puri zeffiri del mare, e che la cappa del cielo era proprio così bella come assicura il Manzoni nei “Promessi Sposi”. Questo singolare fenomeno illusorio avveniva in me perché in quell’ora il fresco maestrale della contentezza spirava nel mio cuore. Ero io contento veramente in quell’ardente pomeriggio dell’undici luglio? Certo ero leggiero, leggiero come uno il quale, dopo essere rimasto tutta la giornata nelle strettoie di un abito nero per assistere ad una interminabile cerimonia ufficiale, arriva a casa, si strappa il colletto e manda in aria il palamidone(2). Precisamente io ero stanco e greve e, ben ripensando, più che del lavoro giornaliero, io ero stanco della cerimonia ufficiale, della vita, tanto stanco che in questo senso  di tedio(3) mi parve di essere meravigliosamente solo fra gli uomini, e ne ebbi paura come di un prodromo(4)  di malattia insanabile dell’anima.

 

Note

  1. pesante
  2. cappotto
  3. noia
  4. inizio

Biografia …

Il 10 APRILE 1939 muore ALFRDO PANZINI, scrittore dalla complessa esperienza culturale …

Alfredo Panzini nasce a Senigallia, vicino ad Ancona, il 31 dicembre 1863, si trasferisce con la famiglia a Rimini e poi studia al “Convitto Nazionale Foscarini” a Venezia. Si laurea in Lettere a Bologna avendo come docente Giosuè Carducci. Diventa un grande esperto di linguistica e collabora alla compilazione del “Dizionario Moderno” pubblicato dalla Casa Editrice Hoepli nel 1905. Insegna a lungo al Liceo Classico “Terenzio Mamiani” di Roma. Infine nel 1929 diventa “Accademico d’Italia”. Tra le sue opere di narrativa si ricordano: “Piccole storie del mondo grande” (1901), “La lanterna di Diogene” (1907), “Viaggio di un povero letterato” (1919) e “I giorni del sale e del grano” (1929). Egli muore  a Roma il 10 aprile 1939. Panzini nella sua narrativa descrive il profondo dissidio che esiste nel suo tempo tra due epoche molto diverse, ed anche tra quelle che sono le aspirazioni ideali degli individui e la dura realtà in cui vivono. In particolar modo egli critica aspramente la mediocrità piccolo borghese degli individui che non hanno grandi aspirazioni e si accontentano di un po’ di benessere e del quieto vivere. Per descrivere questa realtà Panzini adotta un linguaggio frenetico, non lineare, ricco di neologismi e di termini ricercati.

Scopriamo la lingua …

PROVERBIO
Il meglio è nemico del bene

MODO DI DIRE
Non di rado: Abbastanza spesso.

VOCABOLARIO GENERALE
VOCABOLARIO CUCINA